YIN E YANG NEL TRATTAMENTO
Nel contesto delle discipline bionaturali, in particolare in quelle che fondano le proprie basi teoriche sulla concezione orientale di salute e benessere, l’equilibrio tra Yin e Yang non è un concetto puramente teorico da applicare una volta analizzata la condizione energetica riscontrata nel ricevente.
È pur vero che la distinzione tra i due aspetti dell’energia connota, di solito, la descrizione delle condizioni di un ricevente, con il quale ci confrontiamo per proporgli il trattamento di riequilibrio.
ENERGIA YIN: rappresenta l’aspetto femminile, fresco, calmo e introspettivo dell’energia. In una persona, un eccesso di energia Yin potrebbe manifestarsi come una sensazione di freddezza e stagnazione, con una tendenza verso l’apatia e la passività. Al contrario, una carenza di energia Yin potrebbe portare a sintomi come secchezza, irritabilità e nervosismo.
ENERGIA YANG: rappresenta l’aspetto maschile, caldo, attivo ed estroverso dell’energia. In una persona, un eccesso di energia Yang potrebbe manifestarsi come eccitazione e iperattività, con una tendenza verso l’irritabilità e l’impazienza.
Al contrario, una carenza di energia Yang potrebbe portare a sintomi come stanchezza, debolezza e sensazione di freddo cronico. Lo Yin e lo Yang sono aspetti dell’energia che convivono in ogni persona in un equilibrio dinamico in continua modificazione. La continuità e l’alternanza di questa dinamica garantiscono a ogni persona la disponibilità delle qualità di energia utili ad affrontare efficacemente ogni momento di vita. La variazione di questo equilibrio dinamico, dovuta ai più diversi eventi esterni o interni alla persona, viene manifestata opportunamente con variazioni negli standard di vita, salute, efficienza della persona stessa, che possono manifestarsi con indizi, segnali, sintomi, di ogni ordine e gravità.
COME IMPOSTARE IL RIEQUILIBRIO
Un praticante di discipline bionaturali che voglia facilitare nel suo cliente un riequilibrio adeguato avrà bisogno non soltanto di distinguere le condizioni e le necessità del ricevente, per proporgli i provvedimenti più adatti a consentirgli quell’inizio di modificazione capace di innescare il processo di cambiamento ricercato. In realtà la sfida della formazione del praticante consiste soprattutto nel saper distinguere “in vivo” su di sé gli indizi della presenza di questi due aspetti. Se io, praticante, mi limitassi ad applicare un provvedimento Yang a una persona in cui lo Yang è carente, riprodurrei semplicemente lo schema di lavoro proposto nella concezione generale della medicina di sostituzione: non ha abbastanza Yang, e quindi lo “sollecito” con proposte dinamiche. Oppure: non ha abbastanza Yin, e allora gli insegno ad ascoltarsi, rilassarsi, interiorizzare. Una contrapposizione infruttuosa, che anzi rischia di alienare la fiducia del ricevente.
CREARE RELAZIONE
Nelle discipline bionaturali parliamo di riconoscere e raggiungere la persona nella sua espressione energetica, agganciarla con il “linguaggio”che le è proprio, creando (con parole, tecniche, gesti) momenti di reciproca comprensione e scambio, al fine di instaurare una dinamica di cambiamento dove la dinamica è venuta a mancare o è debole e non governata. Quando questa relazione si stabilisce correttamente e senza invadenza il cambiamento diventa possibile. Io praticante divento un“esempio”, non con discorsi o consigli, ma manifestando la modulazione nell’equilibrio tra Yin e Yang che al ricevente è venuta meno. Se io sto bene, sono un praticante “equilibrato”e “competente” (pur nella varietà dinamica di questo termine), sono in grado di rappresentare con la mia espressione personale e con la mia tecnica sia qualità Yin sia qualità Yang. Ad esempio, so ascoltare, senza giudizio o ingerenza, ricevo e custodisco, lascio spazio, anzi, creo spazio, anche col silenzio quando serve (agganciandomi alla sua condizione Yin), e questo creare spazio offre alla persona l’occasione preziosa per lasciar emergere e manifestare la qualità penalizzata, carente, riconoscendola e valorizzandola. Oppure, so valorizzare le qualità “generose”del suo Yang, che lo rendono reattivo e protagonista in alcuni suoi aspetti espressivi vitali, ma che lo espongono al rischio di “strafare”e quindi di manifestare quei segnali espliciti ed eventualmente fastidiosi dei quali farebbe volentieri a meno, a costo di sopprimerli con calmantie negazioni.
ENTRIAMO NEL DETTAGLIO Vediamo alcuni aspetti in diverse pratiche:
LO SHIATSU
Nello shiatsu (Masunaga e Ohashi) viene tipicamente riconosciuta e valorizzata la differenza nell’azione tra le due mani del praticante: “mano madre” e “mano messaggera”. L’una viene appoggiata in modo più statico, con superficie allargata, maggiore appoggio del corpo del praticante sulle parti del corpo del ricevente riconosciute al tatto come bisognose di sostegno, calore, tonificazione (in termini giapponesi: Kyo, carenti di energia). L’altra si muove in modo più dinamico, stimolante, leggero, superficiale, rispettoso della resistenza delle zone contratte (Jitsu, eccessivamente cariche di energia). Lo spostamento del peso e dei movimenti sul ricevente, eseguito con questa modulazione, si alterna da una parte all’altra del corpo del ricevente. Questo crea una sensazione di rispetto, rilassamento, stimolo, e dà luogo a una dinamica che comincia nel trattamento e continua anche successivamente nel ricevente, fornendo un esempio vivo di modificazione che per il ricevente diventa naturale riprodurre anche in seguito. In questo caso l’unica partecipazione richiesta al ricevente è: rilassamento e autoascolto. Tutto è molto implicito e non prevede molta verbalizzazione.
LA DIGITOPRESSIONE JIN SHIN DO®
Similmente, nella digitopressione Jin Shin Do® si utilizzano le due mani in modo differenziato, mantenendo una mano (un dito in questo caso) su un punto “in crisi”, che denuncia, cioè, senso di disagio a vari livelli (il corrispettivo del Jitsu nello shiatsu). Questo punto viene qui definito “locale”. L’altra mano (o meglio, dito) contatta invece uno o più punti “distali”, in posizioni fisicamente o energeticamente affini al punto locale, con funzioni di “distrazione”, “sollecitazione”, “mediazione” rispetto alle condizioni e alle sensazioni prodotte/percepite nel punto locale. L’azione combinata di questo duplice contatto innesca processi di compensazione reciproca che generano effetti a vari livelli, difficili da descrivere sia per la loro varietà, sia per la soggettività delle percezioni. In realtà questi effetti spesso trovano un’espressione, verbale o fisica, nelle reazioni del ricevente, definite “rilasci”, che possono essere fisici (cede la tensione nel punto locale) o emotivi (cedono i blocchi delle cosiddette “armature” che costringono nel profondo sé la libera manifestazione di vissuti emotivi trattenuti o negati, ma sempre presenti e attivi). Liberare questi processi di rilascio è parte del riequilibrio ricercato dal ricevente, mentre il praticante asseconda con un “ascolto attivo” l’occupazione di questo spazio di consapevolezza da parte del ricevente, senza peraltro provocarlo o condizionarlo. Anche nell’“ascolto attivo” (Carl Rogers) possiamo leggere la modulazione di un intervento tra Yin (silenzio, accettazione, ascolto, assenza di giudizio o consiglio, fiducia nelle possibilità evolutive del ricevente) e Yang (contatto sapiente a due mani, manifestazioni di attenzione, brevi incoraggiamenti verbali e infine suggerimenti per l’ancoraggio alle risorse emerse).
IL REIKI
Per quanto riguarda l’azione riequilibratrice del praticante, nel reiki è forse meno esplicita la modulazione tra Yin e Yang. Dato per assunto che “l’energia va dove serve”, conferire, tramite il contatto o l’imposizione delle mani, o con l’intenzione (a seconda dell’esperienza del praticante), un apporto dell’energia che ha origine nella fonte universale comune a tutti, ma che viene canalizzata in particolare da chi conosce e interpreta questa trasmissione, significa compensare e appianare qualunque disequilibrio prodotto nella vita e nell’organismo del ricevente, attivando le sue risorse vitali. È però interessante fare una considerazione sulla qualità energetica del praticante. In quanto canale che trasforma e trasmette energia da A (la sorgente) a B (il ricevente), la sua efficacia nella trasformazione e nella trasmissione è commisurata alla “pervietà” dei suoi canali. In altri termini: se io, praticante, sono relativamente “libero” da blocchi, problemi, impedimenti, disagi, la mia qualità di“canale” mi rende capace di trasformare e trasmettere l’energia (Rei) in energia personale (Ki) che sostienee soddisfa le necessità del ricevente. Diversamente, se sono io il primo ad aver bisogno di sostegno e completamento … niente di male, ma l’energia si ferma prevalentemente a me. Non a caso i corsi di iniziazione al reiki si intraprendono, di solito, per imparare a “dare reiki a sé stessi” in primo luogo, per star bene e … per diventare canali utili anche agli altri. Non c’è un esame in tal senso, non c’è una soglia da superare per diventare “fornitori” di energia, anche perché questa condizione è estremamente variabile, addirittura altalenante, in base alle condizioni di vita e alla pratica. L’esperienza aiuta ad acquisire la sensibilità per esserne consapevoli. In questo caso potremmo definire “più Yin” la condizione in cui occorre “pulire il canale” e “più Yang” quella in cui l’energia scorre più o meno liberamente attraverso il canale libero. Anche questo è un equilibrio in continuo dinamismo.